lunedì 30 giugno 2014

TOKYO, NIKKO E KAMAKURA walking and rail

E quest'anno si va in Giappone. Ci convinciamo che se ci sono ancora tanti giapponesi vivi e vegeti, due settimane di sushi radioattivo non potranno nuocerci più di tanto. Ma iniziamo il racconto come sempre con le immancabili sfighe prepartenza. Innanzitutto gli animali di casa si ribellano in vista dell’abbandono vacanzifero: il cane tre giorni prima non poggia più una zampa senza apparente motivo e un criceto roborovski si strozza un piedino in un filo di cotone rischiando la cancrena. Entrambi gli infortuni si risolvono appena in tempo.
Il giorno prima il mio cellulare su cui nei mesi precedenti avevamo caricato tutte le info necessarie per il viaggio (mappe, itinerari, consigli di viaggio, documenti, codici assicurazioni) si impalla. Pa ni co. Non mi accetta più il codice di sblocco schermo, e l'unica soluzione sembra resettare alle impostazioni di fabbrica. Che significa non avere il tempo per ricaricare tutto. Poi con qualche peripezia riusciamo a ripristinare come prima, ma non senza aver quasi pianto per la disperazione.
Andiamo a letto e speriamo bene. E invece no! Martino dal suo lettino urla che ha male all’orecchio, noi ci guardiamo convinti che ci abbiano lanciato una macumba. Si presenta da noi pieno di ponfi rossi sul collo e sulle braccia tipo orticaria. Un beccone di non so quale insetto bastardo dietro l’orecchio lo ha devastato e ha una reazione allergica. Subito ci spaventiamo a morte, poi con lo Zirtec la situazione rientra. Ma ormai sembriamo una barzelletta.
10 giugno
Partiamo alle 7.45 da casa e raggiungiamo il Pesco Parking di Venezia. Tutto fila liscio, lasciamo giù la Meriva e ci facciamo portare all’aeroporto di Venezia con lo shuttle. Il volo per Mosca è in ritardo ma perlomeno i nuovi aeromobili Aeroflot sono supercomodi e incoraggianti. Alla faccia di chi ce l’ha tirata per il fatto che avremmo volato con i russi. Io faccio il solito errore di non accaparrarmi subito i sedili vuoti al centro per avere un comodo letto a 4 posti per l'intero volo, mentre russi e giapponesi ci piombano sopra come falchetti ancora prima del decollo. Pessimismo e fastidio.
Facciamo scalo a Mosca e grazie al ritardo ci passa velocemente, è già ora di salire sul volo per Tokyo. Anche questo aereo è molto nuovo e tecnologico e si prospetta un comodo viaggio, anche se lungo.
Arriviamo a Tokyo Narita alle 11 di mattina, e riceviamo la sorpresa….non ci sono i nostri bagagli. Ah beh. A causa del breve scalo non sono stati caricati per tempo sul secondo aereo e sono rimasti a Mosca. Un vecchino giapponese gentile si adopera per tranquillizzarci e garantirci che la sera successiva verranno recapitati al nostro alloggio. Ci fa talmente pena che non riusciamo nemmeno ad incupirci per il disguido. Fortunatamente io donna previdente ho tenuto un cambio per tutti e le cose di prima necessità nel bagaglio a mano. Tranne gli spazzolini da denti che però ci verrano gentilmente forniti al primo ryokan dove alloggiamo. Senza i pesantissimi zaini sulle spalle (vedi pure che magari è stata una fortuna) iniziamo a muoverci per Tokyo Narita, l’aeroporto che si trova a circa un’ora da Tokyo centro. Cerchiamo subito l’ufficio JR per attivare il nostro japan rail pass per il giorno successivo e fare la Suica, una tessera ricaricabile che sfruttiamo subito per il Limited Express, sulla Keisei Main Line, il mezzo più conveniente che ci porta fino alla stazione Keisei Ueno vicino al nostro alloggio. Il soggiorno sarà di quindici giorni e il JRP ne copre 14, quindi per il primo trasferimento a Tokyo abbiamo scelto una soluzione non compresa nel JRP.
Il trenino è una specie di metro di superficie e passa anche in mezzo alle case, e su dei ponti tra i palazzi. Una voce registrata continua a parlare giapponese per tutto il tragitto (penso annunci le fermate ma fa dei discorsi lunghissimi ogni volta) e ripete con insistenza "Arigato agosaimas(hta)" e "Okudasai" al termine di ogni frase.


  Arrivati a Ueno, felicemente immersi nella metropoli giapponese già pullulante di stranezze, cerchiamo il nostro alloggio seguendo le mappe sul cellulare e lo troviamo senza difficoltà. Per il nostro soggiorno a Tokyo abbiamo scelto una (diciamo tutte) guest house alla giapponese, il 1/3 Akihabara Yashiki, da poco ristrutturato e davvero carino.

 
 Arriviamo verso le due, e scopriamo che la gestione dell’alloggio è delegata ad un computer esterno. Con il profilo Skype sul monitor si può contattare la reception che fisicamente si trova in un altro stabile. In cinque minuti arriva una ragazza gentilissima in bicicletta per consegnarci le chiavi e spiegarci come funziona la guest house. Aaaah, Japan!


Segnalazione: con circa 30 euro per 14 giorni abbiamo ordinato online da casa una schedina B-Mobile per il traffico 3g, e al momento del check-in la riceviamo subito dalle mani della segretaria del ryokan dove l’avevamo fatta spedire. Perfettamente funzionante. Uuuuh Japan!

Siamo entusiasti come poppanti perché l’interno dell’alloggio è tutto così giappo, total legno & carta di riso, e ci sistemiamo nella nostra prima stanza col tatami per terra. Oooooh Japan!
Dopo esserci rinfrescati un pochino usciamo tutti agitati per la nostra prima esplorazione di Tokyo. Ci spostiamo a piedi verso Akihabara, l’Electric town patria dei videogiochi e dei manga. 


  
È già un bell’assaggio, insegne luminose, palazzi altissimi, ragazze vestite come cartoni animati che ogni 10 metri propongono volantini sorridendo candidamente, luci, suoni, colori e orde di giapponesi che marciano composti. Che storia.


 Ci salta all'occhio che in una città così avanzata i cavi elettrici sono tutti esposti, enormi grovigli sospesi. Ipotizzo che sia per i terremoti ma non so quale sia il vero motivo.


  Curiosiamo nei pazzeschi negozi di fumetti giapponesi e nei megastore più famosi, come Animate e Laox. Prima di cenare visitiamo il nostro primo tempio, il santuario Kanda Myojin, nel quartiere di Chiyoda




Appena fuori dal santuario sboccia il mio sempituro amore per Tanuki dalle grandi Palle, il cane procione che porta abbondanza e prosperità ai locali se esposto davanti all'ingresso. Per cui se ne vedono tantissimi. Ma quanto puccioso è?!


  Cercando un posto per cenare restiamo colpiti dai ristoranti che (oltre all'onnipresente Tanuki) espongono in vetrina i cibi di plastica con i relativi prezzi, anche se da domani saremo già abituati a questa bizzarra e tradizionale usanza.


 Ne scegliamo uno economico per la cena, e rimaniamo pienamente soddisfatti. Si tratta di piccoli locali poco fashion dove mangiano i lavoratori giapponesi e i turisti non osano entrare. Solitamente ci si siede su sgabelli alti di fronte a lunghe mensole contro la parete. Per ordinare si utilizzano grandi gettoniere che sembrano i nostri distributori di merendine, senza le merendine. Si inseriscono i soldi, si sceglie la pietanza (cioè, ci si riesce solo se cuochi e clienti giappi sempre disponibili vi danno una mano, dato che è tutto simpaticamente scritto in geroglifici...non che col loro aiuto si capisca cosa si ordina, ma almeno si possono indicare i cibi di plastica in vetrina che sembrano più appetibili e loro eseguono).Viene stampato un bigliettino che si consegna al cuoco. Lui cucina in diretta e poi ti chiama quando è pronto, quindi si ritira il piatto, arigato agoisaimas e ci si siede a tavola.

 
 In genere in questi locali si mangiano riso o yakisoba (spaghetti di grano saraceno) in brodo con pesce o pollo sopra, tempura e verdure, accompagnati da una scodellina di cipollotto tagliato fino, e zuppa di miso. Tutto assolutamente gustoso e appetibile per il palato di noi europei. Un piatto completo costa intorno ai 500 yen, l’equivalente di circa 3-4 euro a testa, e si mangia in abbondanza e dignitosamente. Anche i bambini hanno decisamente apprezzato gli yakisoba col tempura di gamberi.



Il tempo a Tokyo è simile a quello lasciato a Verona, solo che dal giorno della nostra partenza in patria è sbroccato un caldo afoso mentre qui dopo una settimana di diluvio universale, pioviggina e le temperature si sono rinfrescate, siamo attorno ai 25 gradi e si sta davvero bene. Il tempo ideale per scarpinare in giro. 

La prima notte dormo poco, non per il fuso che con le pastigliette di melatonina conteniamo sempre piuttosto bene, ma per una giappozanzara maledetta che ronza nelle orecchie. Fortunatamente ci hanno fornito tappi gratuiti e trovo pace anch’io quando tutti gli altri sono deceduti da un pezzo.

11 giugno
Su consiglio di un’amica, per la colazione cerchiamo subito un convenience store (che in giappo si chiamano konbini, tra i più diffusi 7/11, Lawson, Family Mart) dove si possono trovare  brioches fresche molto buone per tutti i gusti a poco prezzo. E anche caffè e latte al cioccolato. Sconsigliamo lo Starbucks perché a Tokyo è carissimo, mentre la qualità di questi dolcetti è molto simile e si spende molto meno. 

Prendiamo la metro e raggiungiamo il Sukiji Market, il grande mercato del pesce di Tokyo. Purtroppo è già chiuso quando arriviamo, ci siamo alzati troppo tardi. Sappiamo che non è più ammesso l’ingresso durante le fighissime aste dei tonni ma qualcosina si sarebbe potuto ancora vedere…un vero peccato. Ma ci rimane il "profumo"!


Quindi ci addentriamo nelle viuzze adiacenti piene di bancarelle e negozietti di pesce, dove gli odori si sprecano e tutti i negozianti mangiano di gusto dietro ai banconi (!?!?). Anche se è mattina non resistiamo ad assaggiare dei mega vongoloni radioattivi alla fiamma con salsa e maionese, deliziosi. Poi ci fermiamo in un bel posticino che ci ispira (sempre molto alla mano) e assaggiamo del sushi e del sashimi sensazionale con una zuppetta di miso stratosferica. La Mavi contro ogni previsione se ne innamora. 

Lasciamo l’affascinante quartiere del mercato del pesce e ci dirigiamo verso i grandi giardini Hama Rikyu, purtroppo appena entriamo inizia a piovigginare. Non abbiamo con noi gli ombrelli (sono rimasti negli zaini a Mosca!) ma riusciamo a non bagnarci troppo. 



Li attraversiamo riparandoci a tratti nelle case da thè in una tipica atmosfera zen, e poi cerchiamo di raggiungere il Pokemon Center a cui Martino tiene tanto.



Appena arriviamo fuori inizia a diluviare e per la prima volta apprezzo pure io i Pokemon. Dopo aver accontentato il bimbolo con uno dei suoi beniamini orrendi di peluche, decidiamo di fare un giro a Ginza.




Ora piove a singhiozzo, e trovandoci di fronte a un Tokyu Hands, anche se non quello più grande che avevamo programmato di vedere, decidiamo di entrarci. Ammaliati dalle mille minchiatine giapponesi di ogni genere passiamo un bel po’ di tempo tra i vari piani (spettacolare il reparto cucina!). Perlomeno quando usciamo non piove più. 


Troviamo un posticino giappissimo in un sottoscala per mangiare degli ottimi yakisoba. Dentro ci sono solo giapponesi veraci e ci sentiamo veramente degli alieni. Dopo pranzo, sempre a piedi, visitiamo ancora un po’ la sciccosa Ginza e poi facciamo rotta verso il Palazzo Imperiale

 Ora piove con più insistenza e siamo costretti a comprare un paio di ombrelli giapponesi di quelli trasparenti che qui hanno tutti, bellissimi in realtà, peccato che dovremo lasciarli in dono al ryokan perché non pieghevoli e troppo scomodi da portarsi appresso, mannaggiallamorte che dispiacere. 



Durante la visita ai giardini continua a piovere e si è fatto tardi, non ci resta molto tempo per girarli tutti. Il palazzo è in fase di restauro e si vede poco niente. 



Decidiamo di tornare ad Akihabara con i mezzi, ma non senza aver scarpinato l’impossibile.

 
 Scoviamo un altro dei nostri ristorantini economici e mangiamo riso e pollo. Rientrati all’alloggio scopriamo che la stanza accanto alla nostra è ora occupata da una famiglia di malesiani con due bambini supercasinisti. Una famiglia aperta al dialogo e alle filastrocche, che culo. Vabeh, siamo disposti a questo tipo di imprevisti, ormai tolleriamo quasi tutto. Nonostante il rave party familiare che mettono in piedi per la serata, ci addormentiamo. 

Durante la notte, io intollerante al glutine pago per essermi sfondata peccaminosamente di yakisoba, ma dopo aver vomitato l'impossibile nel supertecnologico water giapponese torno come nuova. 


Ora una postilla sul water giapponese è dovuta. L'acqua nella tazza è alta, come negli Usa, quindi si sporca meno. Il copritazza è riscaldato, e non avrei mai pensato al sollievo che può darti questa peculiarità. Ma ciò che fa la vera differenza è il telecomando laterale con cui imposti la musica e le opzioni per il lavaggio-parti-intime. C'è il bottone "culo" (l'icona è inconfondibile) che fa fuoriuscire un tubicino posteriore che spara acqua esattamente in direzione del tuo deretano. Puoi regolare temperatura e potenza del getto. Stessa storia per il bottone "donnina sulla fontana" che fa fuoriuscire un altro tubicino direzionato però sulla patata. Il getto è molto obliquo e l'acqua non ricade sui tubicini, quindi non c'è nulla di antigienico in tutto questo, anzi, direi che sono quasi più avanti di noi italiani che tanto ci vantiamo del nostro bidet. Loro non ci mettono nemmeno le mani.


 12 giugno
Dopo aver consultato le umidissime previsioni del tempo sul cellulare, decidiamo che il posto meno bagnato da visitare oggi è Kamakura, nella prefettura di Kanagawa. Prendiamo il treno e arrivati ad Akita Kamakura, un paesino nel verde in mezzo alle colline che si snoda lungo la linea ferroviaria, facciamo colazione comprando dei biscotti Mikado in un ...minimarket? (cioè, non saprei definire cos'era) del posto. 



Ci fermiamo ad assaggiare dei buonissimi biscotti di riso zuccherati, i senbei dolci, e prendiamo caffè e cioccolata ai distributori di bibite che in Giappone si trovano ovunque. Durante la breve passeggiata di 5 minuti che ci porta al primo tempio, inizia a piovere in modo insolito, modello “spruzzino”. La pioggia qui in Japan è proprio stilosa, cambia tipologia di continuo.



   Per primo visitiamo l’Engaku-ji, un tempio Zen. L’accesso al tempio, con la sua scalinata fiancheggiata da grandi cedri, è spettacolare. La campana conservata all’interno del tempio è stata classificata tesoro nazionale.A me sembra solo una campana.


 Dopo circa altri 15 minuti a piedi arriviamo al Kenchō-ji, luogo di nascita dello Zen giapponese. Stupendo il giardino zen sul retro del tempio. 


Qui compriamo una Daruma, la bambolina (no dai...il mostriciattolo) giapponese portafortuna alla quale va dipinto un occhio prefissandosi un obiettivo, e andrà dipinto il secondo occhio quando l’obiettivo sarà stato raggiunto, per poi portarla a bruciare alla fine dell’anno nel tempio in cui è stata acquistata. La nostra ha un occhio già dipinto, e non capiamo quale sia l'obiettivo scritto dietro, ma non stiamo a fare i puntigliosi, su. Tanto finirà sepolta dalla polvere sulla mensola del salotto, non la riporteremo certo qui a fiammeggiare.


Ci rimettiamo in cammino e dopo altri 15 minuti raggiungiamo il meraviglioso Santuario Tsurugaoka Hachiman-gū simbolo della vecchia capitale.

Qui vediamo i primi stagni con le nishikigoi, o carpe Koi, gli enormi pesci colorati giapponesi. Ci sono enormi stagni ricoperti di ninfee, pullulanti di carpe, tartarughe e colombe. 





Vediamo i primi Torii, i  tradizionali portali d'accesso che portano ad un jinja (santuario shintoista) o più semplicemente ad un'area sacra. E i primi Ema, piccole tavolette di legno su cui i credenti shintoisti scrivono preghiere o desideri. Gli ema vengono lasciati appesi nei templi, dove gli spiriti o gli dei li possono leggere. O comprati da me irreligiosa come souvenir.


 Dall’alto del tempio si vede la grande strada dritta che scende verso il villaggio con un grande torii rosso dietro l’altro. Io inizio ad accusare un forte dolore alla caviglia (l’età…) che nei giorni scorsi era solo un fastidio, e sono costretta a fermarmi a più riprese. Claudio mi fa dei massaggi per permettermi di continuare a camminare ma mi sposto quasi sempre zoppicando, l’ideale per una vacanza walking & rail insomma.

Raggiungiamo il centro di Kamakura e per pranzo mangiamo degli spiedini di pescespada deliziosi. Ci fermiamo per svariati assaggini  gastronomici nei negozietti che invitano a provare le stranezze giapponesi. Mi auguro che non fossero insetti sotto false spoglie, perchè dalle etichette in giapponese non è che abbiamo capito molto. L'importante è non saperlo.
 
Compriamo anche una bustona di snack al riso, i senbei, che useremo come spuntini di emergenza per tutta la vacanza. 

 Dalla stazione di Kamakura saliamo sull’autobus verso il tempio Kaikōzan Hase-dera, un antico tempio buddhista dedicato a Kannon, con centinaia di statuette tutte uguali che rappresentano Jizo, una divinità buddhista. 
 


Nel tempio c’è anche una grotta molto suggestiva dedicata alla dea Benzaiten. Nei dintorni del tempio assaggiamo i mitarashi dango, spiedini di palline di riso gommosette con una salsa di soia dolce. Poi a piedi in circa dieci minuti raggiungiamo Kōtoku-in, un tempio amidista, dove si trova il famoso Grande Budda (Kamakura Daibutsu). 



L’amida Buddha è una statua in bronzo a cielo aperto alta circa 13 metri, assolutamente da vedere. Compriamo qualche souvenir. Poi prendiamo l’autobus e torniamo alla stazione, e di lì riprendiamo il treno per Shinjuku.

Si sta facendo sera e ci colpisce la somiglianza con la Times Square Newyorkese. La stazione è enorme, un importante nodo del trasporto urbano, ed è la sede di una grossa concentrazione di grattacieli, grandi magazzini, cinema, hotel, bar. La strada principale è Yasukuni-dori. Le insegne al neon sono infinite, sembra una vera città del futuro.


Andiamo subito alla ricerca del Golden Gai, una piccola zona di Shinjuku famosa per la sua vita notturna. Si compone di una rete di vicoli, collegati da vicoletti ancora più stretti, dove si passa a malapena attraverso. Oltre 200 piccoli bar, club e ristorantini sono concentrati in questa zona pittoresca e affascinante.

Cerchiamo un posticino per mangiare e troviamo un ristorante sotterraneo che propone cose invitanti. Dentro solo asiatici, ovviamente.


Io mangio un ottimo sashimi con pomodorini e avocado e Mavi si prende degli spiedini di meatloaf. 
 


Claudio ha troppa voglia di yakisoba (io non più) che qui non sono a menù, e decide di aspettare per mangiarsene un piattone ad Akihabara mentre io e Mavi accompagnamo Martino al MacDonalds a mangiarsi un Filet-o-fish. Ridiamo come pazzi perché il ragazzo che serve al Mac inizia a fare facce e gesti ridicoli a Martino attraverso la vetrata anche dopo che siamo usciti. I giappi ci trattano sempre con estrema simpatia, forse perchè non è così facile vedere dei non-asiatici girare per Tokyo.
Sulla via del ritorno ci fermiamo in una JR station per prenotare i posti sullo shinkansen di domani verso Nikko. Non è obbligatorio ma per assicurarsi i 4 posti vicini è consigliabile farlo. Nessuna penale se si cambia treno. Anvedi.
Torniamo al ryokan distrutti, e vi ricordo che ho ancora la caviglia a pezzi dopo tutti i chilometri percorsi. Stoica.
13 giugno
Oggi a veder le previsioni sembra il giorno adatto per visitare Nikko. Sulla strada verso la stazione rimaniamo impressionati dalla scena di un giapponese che crolla a terra e sembra stroncato da un infarto. Evitiamo di immischiarci dato che altri giapponesi (con un po’ troppa flemma a mio avviso, ma forse perché era già bello che schiattato) si apprestano a soccorrerlo. Prendiamo lo shinkansen fino alla Nikko Line e poi giunti al centro del paese prendiamo un autobus che ci porta fino al capolinea vicino ai templi, su per la montagna. Nikko è meravigliosa. 


 

   Prima visitiamo il mausoleo Taiyuinbyo, meraviglia di arzigogoli, con scalinate di pietra muschiata che si inerpicano nella foresta in mezzo a templi e tempietti in un'esuberanza di forme e colori. 


 

Procediamo poi per il santuario Futarasan-jinja che congiunge il santuario Toshogu tramite un grande viale con una lunghissima fila di Toro, le lanterne di pietra. 

 
Sulla scuderia dei cavalli sacri del santuario vediamo la famosissima decorazione delle tre scimmie sagge (non vedere il male, non ascoltare il male, non parlare del male) simbolo tradizionale della cultura giapponese. Esportato con scarsi risultati.


Passando da un portale dove è raffigurato un gattino puccioso che dorme in mezzo ai fiori si sale faticosamente fino alla tomba di Tokugawa Ieyasu. La mia caviglia sentitamente ringrazia.



Per ricompensarci di tanta fatica compriamo il nostro primo Ema che ritrae l’antenata di hello kitty, acquistabile solo quassù. Ovviamente non lo appendiamo ma ce lo portiamo a casa per ricordo. Blasfemi.


 Per rinfrescarci prendiamo delle lattine di thè verde ai distributori della rest area, un po' amaro ma molto dissetante, e ci rendiamo conto da qui in avanti che per i giapponesi è il più che degno sostituto dell'acqua. Non riusciamo a vedere il tempio Rinno-Ji perchè è in restauro in una mastodontica tensostruttura. Tuttavia è interessante poter entrare e vederlo completamente disassemblato per il risanamento del legno. 
 

Colti dalla fame ci rendiamo conto che tra i templi di Nikko non ci sono locali per la ristorazione e non c'è nessuna possibilità di prendere da mangiare. Scendiamo quindi verso il bellissimo ponte sacro Shinkyo, un ponte rosso in legno che si staglia in mezzo alla vegetazione, e lì vicino troviamo gli unici locali della zona.  


 Capitiamo nel ristorantino Hippari Dako, completamente tappezzato dai bigliettini lasciati dai clienti, e ci godiamo un ottimo pranzetto a base di yakisoba (non io), spiedini, ravioloni giapponesi gyoza, il tutto senza spendere uno sproposito. Lasciamo anche noi un bigliettino con i nostri nomi. Un posticino indimenticabile, lo consigliamo a tutti. 



  Attraversando la strada vicino al ponte rischiamo di farci tirare sotto da una macchina, tutto perché stanchi e non abituati alla guida a sinistra. Nello scatto felino per evitare l'auto, mi sbatte violentemente la reflex sul fianco: dolore atroce che mi attanaglierà nei giorni successivi, ma tanto già zoppicavo.
Nei pressi del ponte, dove si trova la pietra World heritage, risaliamo verso gli ultimi tempietti e pagode di Nikko, poco conosciuti e suggestivamente immersi nella foresta...una sbirciatina nel Giappone del passato.

  
 Riprendiamo l’autobus, la Nikko Line e poi il treno per Asakusa, che si trova sulla strada del ritorno. Arriviamo al Kaminarimon, l'ingresso alla via del tempio con un'enorme lanterna rossa. Da lì si snoda il Nakamise Dori, un viale di 200 metri pieno di negozietti. 


Questo famoso mercato purtroppo sta già abbassando le saracinesche perché alle 17 qui ogni negozio chiude nel giro di pochi istanti. Sembra che ci sia il coprifuoco e spariscono tutti. Mi ricorda molto l’inizio del film “La città incantata (Spirited away)” di Miyazaki. E per restare in tema, troviamo chiuso pure il negozio della Ghibli a cui tenevamo tanto. Ne cercheremo altri, non esiste. 


Visitiamo il tempio di Asakusa Sensoji con la stupendissima pagoda e da lì vediamo bene anche lo Sky Tree, la grande torre di Tokyo. 





Prendiamo la strada a sinistra del tempio, dove le vie sono ancora piene di vita grazie ai vari bar e ristoranti. 


Ci fermiamo a cenare in un posticino dove assaggiamo  i nostri primi takoyaki, gli spiedini di palline di polipo con la salsa otafuku e il katsuobushi sopra (fiocchi di tonnetto striato essiccato e affumicato). In un altro chioschetto prendiamo il taiyaki, il dolcetto giapponese a forma di pesce ripieno di crema custard e panna montata, il più buono del viaggio. Il primo giorno a Tokyo lo avevo preso ripieno di anko, la pasta di fagioli azuki rossi dolci. Ottimo in ogni sua versione, io ne potrei mangiare a pacchi di taiyaki. E per questo fatto romperò le palle tutta la vacanza.


Facciamo l’ultima tappa al 7/11 per prendere la colazione per il giorno dopo e si va a nanna. I malesiani se ne sono andati e al loro posto c’è una coppia giappa che durante la notte si mette a fumare. Considerando le pareti sottili del ryokan, il fumo arriva tutto nella nostra stanza e Claudio gli urla in inglese di smetterla. Si crea una situazione di tensione, tirano addirittura due pacche alla parete fatiscente per ripicca (la Mavi rugolandosi nel sonno l'aveva un po' spostata) ma per fortuna non vengono a tagliarci la gola nei nostri futon, un pochino me lo aspettavo.
14 giugno
Facciamo colazione in camera con i nostri dolcetti del 7/11, poi nella prima vera giornata di sole giapponese andiamo a visitare Shibuya. Appena usciti facciamo tappa obbligatoria alla statua del cane Hachiko che mi fa venire un magone tremendo. 
 
 
Poi passeggiamo per le vie di Shibuya fino al grande Tokyu Hands che ci eravamo ripromessi di visitare. 


Questi grandi magazzini sono un bengodi di gadget particolarissimi, un must per il turista in cerca di stranezze. Chiamato??
Io acquisto cose utilissime, quasi indispensabili per la sopravvivenza, come il cuoci-uova-sode a forma di coniglietto e il sigilla-tramezzini. Dopo aver speso la mattina a curiosare nei vari reparti usciamo e visitiamo l’immenso Yoyogi Park. Se fosse stata domenica ci saremmo trovati nel regno del cosplay…oggi invece c’è solo la fastidiosa e puzzosa festa dei popoli con chioschi alimentari e banchetti di ogni parte del mondo.


  Convinti di raggiungere il tempio attraversando il parco, scarpiniamo come pazzi per poi renderci conto che da qui non ci si arriva, quindi dobbiamo tornare indietro e uscire dalla parte sud-est, sempre accompagnati dai grossi corvi neri gracchianti pronti a cibarsi dei nostri cadaveri di viaggiatori stremati. 
Finalmente raggiungiamo il tempio Meiji e siamo fortunati ad imbatterci in un matrimonio in perfetto stile giapponese.


 
 Io fotoamatrice mi improvviso paparazza d'assalto per rubare qualche foto agli sposini. E mi esalto pure perchè ci sono parecchi invitati con gli abiti giapponesi tradizionali. 

 Usciti dal tempio, cerchiamo un posticino per mangiare e ne troviamo uno assolutamente giapposo vicino alla ferrovia, dove ogni tavolo è chiuso in una stanzetta privata. Ci sistemiamo e ordiniamo dell’ottimo sashimi, spiedini, ravioli, yakisoba.



Dopo pranzo prendiamo la metro per Yanaka, il quartiere devoto ai gatti, e visitiamo prima la via principale coi suoi straripanti negozietti, poi il vecchio quartiere. 

  Decidiamo di raggiungere Ueno a piedi e si rivela una grande idea perché sul percorso non turistico vediamo dei meravigliosi tempietti, scorci, ville e scuole da real Japan. Purtroppo quando arriviamo a Ueno lo zoo è già chiuso e la Mavi si dispera perchè voleva vedere i panda giganti. Almeno sto giro ci siamo risparmiati il peluche di rito. 

In zona ci sono dei carinissimi tempietti e pagode, ed è fantastico il grande stagno totalmente ricoperto di ninfee a perdita d’occhio. 



Sulla via del ritorno facciamo mangiare i bambini al Mac Donald’s, mentre noi ci fermiamo al Kaiten Sushi di Okachimachi, dove ci emozioniamo in modo quasi infantile sotto gli occhi cinici dei giapponesi seduti intorno. Con un euro a piattino, ci sfondiamo di sushi originali dal gusto sopraffino, accompagnati da the verde caldo e gari a volontà.

Rientrati in hotel risistemo gli zaini: domani si parte per Kyoto.